Faraone Vini: cinque annate di Trebbiano d’Abruzzo, una storia
Una bottiglia di vino contiene, anche, parole. Parole dense, luminose, audaci perché osano andare oltre i luoghi comuni; possono rimandare al passato o caricarsi di significati mitici; farsi cifra dell’esistenza o messaggi dal futuro.
È un venerdì pomeriggio di dicembre, il cielo è scuro, carico di pioggia, l’aria si prepara a diventare fredda. In giornate come queste una Cantina è davvero, come ci suggerisce il suo etimo, un cantus, un angolo di mondo dove trovare riparo e ristoro. Noi siamo stati ancora più fortunati perché abbiamo trovato una Cantina che è anche una casa, quella di Federico Faraone e di sua moglie Mariangela. In questa Cantina-casa, Federico ha immaginato e poi realizzato una sala dedicata all’accoglienza e alla didattica, dove si può degustare il vino e ascoltare il racconto di ogni bottiglia. Questa sala, in particolare, ha un elemento in più: è un luogo della memoria. Perché prima di Federico è stato suo padre Giovanni Faraone a sognarla. Noi non possiamo vantare un’amicizia profonda con Giovanni Faraone, ma tanti anni fa durante “Cantine Aperte” decidemmo di visitare proprio questa cantina e fummo accolti da lui. Ci guidò in un viaggio sorprendente fino alle radici della viticoltura abruzzese, scoprendo anche che, tra le altre cose, era stato il primo a realizzare in Abruzzo, nel 1983, un metodo classico con il suo trebbiano. Da alcuni anni Giovanni non c’è più ma è stato bello e commovente ritrovarlo nei suoi vini e nella sua famiglia. Federico è riuscito a mantenere la vocazione agricola e autentica del padre, rafforzandola grazie agli studi di enologia.

Cinque annate di Trebbiano d’Abruzzo, una storia. La storia è quella della Cantina, di una parte d’Abruzzo, ma anche quella di una famiglia di emigranti e viaggiatori per la quale il vino ha sempre rappresentato la strada di casa, il ritorno alla terra, alle tradizioni, ai gesti semplici e autentici.

Forse nessun vitigno meglio del Trebbiano d’Abruzzo poteva impersonare questa storia. Questo vitigno porta nel suo nome il senso di casa, qualificandosi come “trebulanum” cioè di “trebula” che ha il significato di podere, fattoria e quando trattato con la semplicità che merita dà un vino senza orpelli e tenace, come la gente che lavora e guarda il cielo. Il Trebbiano d’Abruzzo è stato un vino abusato, a volte tradito, spesso sottovalutato, un vino “del meno”: meno profumato, meno acido. Come accade non di rado, per fortuna, dal “meno”, dal togliere, rinasce l’essenza autentica delle cose e così è anche per il Trebbiano che, grazie al lavoro di alcuni vignaioli, è riuscito a dimostrare la sua forte personalità e, soprattutto, la sua incredibile longevità.
Cinque annate: 2020, 2017, 2012, 2006 e 1997.
Ventiquattro anni in cinque calici che hanno illuminato la sala.

Vendemmia 2020 Giovinezza
Alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane.
I. Calvino

Con i suoi delicati profumi di fiori bianchi, pera williams e susina gialla, rivela un sorso molto fresco, fruttato, con un finale cristallino. È una giovane promessa che guadagnerà complessità nell’affinamento in bottiglia lasciando emergere la mineralità che già ora ne delinea la trama.
Vendemmia 2017 Estate
…nel bel mezzo dell’inverno,
A. Camus
ho scoperto che vi era in me
un’invincibile estate.

Naso intenso e ampio di frutta gialla matura in macedonia, mango e canditi, note balsamiche di resina di pino e accenni di idrocarburo. Il sorso è pieno, opulento, un vino dal profilo più orizzontale ma attraversato da una opportuna acidità.
Vendemmia 2012 Trasformazione
Bisognerebbe saper attendere, raccogliere, per una vita intera e possibilmente lunga, senso e dolcezza, e poi, proprio alla fine, si potrebbero forse scrivere dieci righe valide
Rainer Maria Rilke

Naso sussurrato di pepe bianco, ricordi vegetali, polpa di pera, zafferano in polvere. Il sorso è caldo e si distende come il filo di un aquilone tra acidità e pienezza. Questo vino è una nave nel mare che non rivela la rotta ed è ancora lontana dal porto.
Vendemmia 2006 Lontananza

I profumi di questo vino rimandano a stanze segrete dove bruciano incensi, al cassetto degli oggetti dimenticati, al petricore. Il sorso è meno convincente, ma conserva vivacità, con un finale che ricorda le mandorle amare.
Vendemmia 1997 Memoria

La mia degustazione non ha seguito le linee del tempo ma quelle della seduzione; e il primo vino ad attrarmi è stato proprio questo. Forse perché il vino è un ritaglio di tempo e quando gli anni sono molti la scommessa è più allettante. Nel calice dorato e denso di questo ’97 ho trovato una incredibile ampiezza olfattiva: albicocca, pesca sciroppata, canditi, dattero, erbe aromatiche come il rosmarino, note di torba e richiami di miele di castagno. Il sorso è corroborante, sapido e fresco, molto lungo. Non solo, questo vino è gravitazionale, ha il potere di riconnetterci con noi stessi, con le nostre radici, con i nostri desideri.
Ma bisogna anche essere stati accanto ad agonizzanti, bisogna essere rimasti vicino ai morti nella stanza con la finestra aperta e i rumori intermittenti. E non basta ancora avere ricordi. Bisogna saperli dimenticare, quando sono troppi, e avere la grande pazienza di attendere che ritornino. Perché i ricordi in sé ancora non sono. Solo quando diventano sangue in noi, sguardo e gesto, anonimi e non più distinguibili da noi stessi, soltanto allora può accadere che in un momento eccezionale si levi dal loro centro e sgorghi la prima parola di un verso.
Rainer Maria Rilke
La memoria torna al 2005 assaggiato qualche anno fa in una degustazione che abbiamo organizzato dedicata al Trebbiano d’Abruzzo, alla quale partecipò anche Federico.
La degustazione, organizzata dall’Azienda Agricola Faraone per celebrare la nuova sala dedicata alla didattica delle Cantina, si è svolta il 3 dicembre 2021, condotta dai relatori AIS Massimo Iafrate e Paolo Tamagnini.
Rispondi