L’attesa e la scoperta nel vino e nella vita

L’attesa è una suspance elementare
è un antico idioma che non sai decifrare
un’irrequietezza misteriosa e anonima
è una curiosità dell’anima

E l’uomo in quelle ore
guarda fisso il suo tempo
un tempo immune
da avventure o da speciale sgomento

Attendere deriva dal latino ad -tendere col significato di volgersi a, volgersi con tutto il proprio animo.

Descrive una stato di tensione verso qualcosa, il tempo dell’attesa, ma anche il sentimento che proviamo durante questo tempo, il nostro stato d’animo.

Un tempo apparentemente vuoto e immobile, che può essere emozionato, trepidante, pieno di dubbi, speranza, ansia, o angoscia.

Dall’immagine tesa
vigilo l’istante
con imminenza di attesa –
e non aspetto nessuno:

Questi versi del poeta Clemente Rebora mettono in risalto l’opposizione tra due termini apparentemente sinonimici: attendere e aspettare.

Attendere è un processo prevalentemente interiore, connota un generico stato di tensione, non necessariamente consapevole della propria meta; aspettare, invece, implica l’avvicinamento di qualcosa di esterno.

Rebora, quindi, sfrutta le diverse sfumature per esprimere una condizione paradossale: un’attesa priva di un oggetto definito. Per lui questo oggetto indefinito prenderà la forma della grazia divina, portandolo alla conversione e a diventare sacerdote.

Ma deve venire,
verrà, se resisto
a sbocciare non visto,
verrà d’improvviso,
quando meno l’avverto.

L’attesa si accompagna spesso alla speranza, spesso usati come sinonimi. In spagnolo si utilizza, addirittura, lo stesso verbo Esperar per descrivere le due azioni.

Ma attendere implica anche la possibilità della delusione.

Allora la tensione si allenta, il tempo dell’attesa prende a deformarsi come gli orologi di Dalì, ieri, oggi e domani si confondono in apparente ripetizione e monotonia.

Ci si concentra a far passare il tempo, ad ingannare l’attesa. Come fanno Vladimiro e Estragone, i due protagonisti dell’opera “Aspettando Godot”.

In una strada di campagna desolata i due aspettano Godot, non lo conoscono, non sanno quasi nulla di lui, ma credono che li salverà. Purtroppo, ogni sera un ragazzo comunica loro che Godot non verrà, ma verrà sicuramente il giorno successivo.

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ESTRAGONE Andiamocene.
VLADIMIRO Non si può.
ESTRAGONE Perché?
VLADIMIRO Aspettiamo Godot.
ESTRAGONE Già, è vero. (Pausa).

L’attesa diventa il dramma dell’immobilismo. Così il tempo passa; e passare il tempo diventa esso stesso una maniera di esistere: “Troviamo sempre qualcosa, vero, Didi, per darci l’impressione d’esistere?”

Dino Buzzati nel Deserto dei Tartari descrive questa esperienza come “la fuga del tempo” della quale ci si rende conto, però, troppo tardi, quando si è ormai compiuta. Il protagonista del romanzo, Giovanni Drogo, trascorre tutta la sua esistenza in attesa che cominci “la sua vera vita”, che arrivino i tartari in modo che lui possa attuare ciò che ha imparato negli anni della giovinezza e dimostrare finalmente il suo valore.

Quando i nemici arriveranno Giovanni, ormai vecchio e malato, verrà congedato dalla Fortezza Bastiani e senza più nulla da attendere e nessuno che attende lui, gli resterà soltanto la morte. Questa sarà la prima esperienza pienamente consapevole della sua vita, tanto da farlo sorridere.

Abbiamo immaginato la bottiglia di vino come un contenitore di attese. L’attesa delle stagioni, del momento giusto della maturazione dell’uva, ma anche l’attesa della maturazione del vino. Questa attesa liquida ne chiede una nuova e ogni volta diversa quando viene versato nel calice. Ciascun vino ha un tempo diverso. Alcuni vanno attesi a lungo per essere compresi appieno, altri si concedono prima.

Durante la nostra degustazione “L’attesa e la scoperta” abbiamo osservato, annusato e gustato sei vini alla cieca con esiti che ci hanno regalato l’emozione unica della meraviglia.

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L’attesa nella bottiglia

Metodo Classico Millesimato 2011 Podere Castorani. Perlage fine e persistente, uno spumante di qualità atteso per oltre tre anni prima della sboccatura. Passerina in purezza. Freschezza setosa ed elegante, con note agrumate, sentori di crema, ricordi di nocciola. Bilanciato tra slancio verticale e pienezza gustativa.

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La scoperta

Trebbiano d’Abruzzo 1998 Valentini. Giallo dorato brillante e vivace. Naso delicato di fiori bianchi, ostriche e nocciole. In bocca ampio, sapido e lungo. Nessuno ha indovinato il contenuto della bottiglia ma, soprattutto, nessuno ha ipotizzato che quel vino così fresco e sapido avesse 22 anni. Quando l’attesa è una scoperta.

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L’attesa come progetto

Cervaro della Sala 1999 Antinori. Colore giallo dorato con sfumature ambrate. Naso intenso e complesso di albicocca e noce. Leggermente ossidato ma ancora vibrante in bocca, di grande sapidità e persistenza. Il primo vino bianco italiano pensato per l’invecchiamento, firmato dall’enologo Renzo Cotarella: “Quando venni nel ’79 in questa azienda si produceva solo Orvieto, Grechetto e Trebbiano: tre varietà autoctone che ci davano una grande preoccupazione: la maderizzazione ovvero il rapido cambiamento di colore verso l’ambrato ( come il madera da cui deriva il nome maderizzato). Vini che invecchiavano precocemente: non più di un anno e mezzo. Dovevamo cambiare: ma da dove partire? Intanto dotando i nostri bianchi della capacità di saper invecchiare, meglio di un lungo invecchiamento. Un grande vino bianco per me, deve saper evolvere giorno per giorno senza perdere la sua personalità […] Con il Marchese (Piero Antinori) cercavamo qualcosa di diverso: un bianco che si affiancasse ai grandi bianchi internazionali, meglio della Borgogna e che in qualche modo ricalcasse la nascente icona del Tignanello.” L’uva Chardonnay vivacizzata dall’autoctono umbro Grechetto, fermentazione malolattica e maturazione in barrique, questa la ricetta di un vino icona dei grandi bianchi italiani.

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La bellezza dell’immediato

Dolcetto d’Alba Superiore 2012 Flavio Roddolo. L’immediatezza di un vino che, nel calice, conquista subito con i profumi intensi di frutti di bosco, melograno, pepe e spezie dolci e con un sorso schietto e appagante. Vini che l’aggettivo “buonissimo” descrive in pieno.

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Ancora da attendere

Brunello di Montalcino Vigna Soccorso 2008 Tiezzi. Vibrante al naso e in bocca, ancora spostato sulle durezze della acidità e del tannino. Elegante e piacevole da bere ora, ma ancora giovane, ancora da attendere.

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La vigna come luogo dell’attesa

Riesling Spätlese Longuicher Maximiner Herrenberg 1997 Carl Schmitt-Wagner. Un Riesling nato da vigne secolari a piede franco. Giallo paglierino intenso con leggere sfumature dorate; bouquet olfattivo dominato dalle note di agrumi, fiori gialli, albicocca e un leggero accenno di idrocarburo. Fresco e amabile in bocca. Grande struttura e persistenza con un titolo alcolometrico insignificante.

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Ciascuno di noi vive l’esperienza dell’attesa come condizione contingente e esistenziale. Un calice di vino chiede di essere atteso e a suo volta ci attende per potersi esprimere, per esistere in maniera completa. Così anche la nostra esistenza non si completa nell’attesa ma nell’essere attesi. Fino a quando c’è qualcuno o qualcosa che ci attende possiamo sperare di non essere soli e che, anche con tempi diversi, la nostra umanità si realizzerà in un incontro.

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Informazioni su La Fillossera - Innesti di vino e cultura ()
Graziana Troisi è l'autrice del blog e degli articoli. Alcuni articoli sono di Giovanni Carullo.

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