Il vino (non) è una cosa seria. Lo sapevano i Greci che giocavano a Kóttabos
Il vino è una cosa seria. Si, è vero. Si studia, si serve, si degusta. Se ne parla utilizzando termini tecnici. Lo si analizza. Tutto vero.
Il vino non è una cosa seria. Ovvero, il vino attiene, anche, alla sfera del piacere e, udite udite, conserva un aspetto ludico. Da quando? Da sempre.
Con il vino si può giocare. Lo si fa da tempi antichissimi. Lo facevano già i Greci con un gioco chiamato Kóttabos, che secondo molti storici era stato inventato da un siciliano.

Giocatore di kottabos raffigurato su una kylix attica a figure rosse (c. 500 a.C.)
In cosa consisteva il Kóttabos? Durante i simposi ci si divertiva a colpire un bersaglio con le ultime gocce di vino, il fondo per intenderci, rimaste nella coppa. Probabilmente il gioco nacque da una scommessa; fatto sta che la pratica venne formalizzata costruendo una colonnina, alta circa 1.80 m, sormontata da una statuetta con un braccio alzato. Sulla mano della statuetta era appoggiato, in delicato equilibrio, un dischetto di bronzo lievemente concavo, chiamato plastinx. A metà della colonna stava un altro disco di bronzo molto più grande, il manes. Il gioco consisteva nel colpire il plastinx, in modo che cadesse sul manes, facendolo suonare come un campanello. Questa versione del gioco era chiamata Kóttabos kataktós.

Raffigurazione del Kóttabos kataktós
In un’altra versione, detta en lekáne, il bersaglio era costituito da piccoli vasi galleggianti all’interno di un vaso più grande.
Un gioco semplice, ma sicuramente divertente, sopratutto dopo qualche caraffa di vino. Inoltre, per renderlo ancora più accattivante, al lancio si univa la proclamazione del nome della persona dalla quale si desiderava ottenere un favore, favore che spesso era un bacio…
Il gioco fu di moda per almeno trecento anni.
Insomma, mi sembra una bella idea per concludere una degustazione e preservare la componente ludica del vino non prendendosi troppo sul serio.
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