Birra o vino? All’ Arrogant Sour Festival non serve scegliere. Vi racconto perché
C’è un luogo insospettabile in Italia che a giugno diventa capitale europea delle birre sour (o acide, se preferite). Per tre giorni, appassionati, produttori e curiosi si ritrovano tra i quattro porticati del Chiostro della Ghiara di Reggio Emilia per l’Arrogant Sour Festival. Sotto uno dei porticati corre un super impianto a 60 vie che spilla un numero indefinito di birre acide a rotazione, provenienti da ogni parte del mondo. Inoltre, pochi metri più in là, fuori dalle mura del chiostro, un banco con vini dei migliori vignaioli emiliani e non, quasi a voler fare da contraltare alle birre. Vittorio Graziano, Podere Cipolla, Quarticello, Costadilà, Radikon, Cotar, solo per citarne alcuni. Un’Emilia audace e arrogante, lontanissima parente di quella “paranoica” cantata dai CCCP. E, dentro di me, prende forma l’eterno dilemma del wine&beerlover: vino o birra? La risposta è nelle fruit beer. Basta solo cercare tutte quelle prodotte con l’aggiunta di uva o suoi derivati. Ce ne sono di ogni tipo e provenienza. Queste sono tutte quelle assaggiate.
Birrificio Siemàn (ITA)
Azienda veneta produttrice di vino che si dedica di recente anche alla produzione di birre, tutte da fermentazione spontanea con l’utilizzo delle loro uve.
Le Bucce viene prodotta solo una volta l’anno durante la vendemmia. La fermentazione del mosto di birra avviene grazie all’aggiunta del mosto di uve Tai Rosso. Segue una maturazione in botte fino a sei mesi. Al naso non dispiace ma in bocca tradisce un finale sfocato e troppo amaro (tannino da botte o uva?).
Convince, invece, Incrocio in cui viene aggiunto mosto di uve Incrocio Bianco nella seconda fermentazione. Giustamente acida, ha carattere e piacevole vinosità.
Bella ‘Mbriana (ITA)
Birrificio di Nocera Inferiore che produce Zimmaro, una sour IGA con aggiunta di mosto di Caprettone, uva autoctona tipica delle zone del Vesuvio. Acidità da vendere, necessaria ma non sufficiente.
Cantillon (BRU)
Nome storico e ormai di culto tra produttori e amanti del genere. Fondato nel 1900 ad Anderlecht, un sobborgo di Bruxelles, inizia assemblando lambic per poi produrlo dal 1937. Può essere considerato il primo birrificio ad aver utilizzato con regolarità la frutta nella produzione di birre acide.
Vigneronne nasce nel 1987 e il suo nome fu scelto per ribadire che se il lambic è davvero parte del mondo della birra, la sua fermentazione naturale, l’invecchiamento di diversi anni in botte e l’aggiunta di uva lo rendono un lontano cugino di alcuni vini bianchi. È un assemblaggio di lambic da 16 e 18 mesi con aggiunta di uva moscato italiana. Appare selvatica e difficile al naso per poi svelarsi all’assaggio una delle lambic meno ostiche. In bocca si alternano l’acidità vibrante della mela verde e quella più dolce dell’uva. Scorre leggera e pulita con un finale asciutto e piacevolmente amaro. Birra riferimento della categoria che consiglio come bevuta introduttiva a chi non conosce il mondo della acide.
Tutta un’altra musica invece con Lambic d’Aunis, prodotta con l’aggiunta di Pineau d’Aunis, antica varietà di uva rossa della Loira in via d’estinzione. Qui l’acidità viaggia su alti livelli di arroganza, affiancata anche da un tannino scalpitante. Estrema per palati tosti.
Più convincente l’assaggio di Nuit Bruxelloise 2015, lambic con aggiunta di Alicante Bouschet, uva tipica del sud-ovest della Francia famosa per la sua capacità colorante. Vinosità, acidità, secchezza tannica e corpo notevole la fanno avvicinare davvero a un ottimo vino rosso. Jean–Pierre Van Roy, alias Mr Cantillon, ritiene che darà il meglio nei prossimi 2-3 anni. Come dargli torto?
Funk Factory Gueuzeria (USA)
Piccolo e giovane birrificio del Wisconsin che mi ha sorpreso con questa blended sour ale con aggiunta di mosto di Gewürztraminer locale. Il sorso avvolgente e la bolla cremosa di Cervino Gewurztraminer rimandano a un metodo classico di ottima fattura. Finale lungo con chiusura giocata sull’alternarsi di note luppolate e maltate.
Jester King (USA)
Restiamo in USA con un altro birrificio molto interessante di base a Austin, Texas. Biere de Syrah è un sour ale affinata in botte e rifermentata con aggiunta di uva Syrah. Spicca per pulizia, equilibrio e piacevole sapidità. Arroganza con stile.
Libertine Brewing Company (USA)
Altro nome di livello tra gli “american guests” della manifestazione. Fondato nel 2012 nella Central Coast della California, tra San Francisco e Los Angeles, non è nuovo a sperimentazioni con l’uva. Gosè rappresenta un vero e proprio ibrido: un blend di vino rosè locale e gose prodotta con acqua dell’oceano. E’ strana e ti spiazza già dal colore rosa pompelmo, ma è decisamente fatta bene. Anche se l’impressione è quella di bere un ottimo vino rosato, sapido e dalla beva compulsiva, resta una delle migliori bevute del festival. I gradi alcolici sono 8,5 eppure sembrano la metà, attenzione!
Loverbeer (ITA)
Si torna in Italia con uno dei più famosi protagonisti delle fermentazioni spontanee nazionali. Valter Loverier produce dal 2009, fortemente ancorato al suo territorio piemontese. Beerbera 2014 fermenta in legno grazie all’aggiunta del mosto di uve Barbera e continua a maturare in botte. Dimostra carattere e personalità ma non mi entusiasma. Non ha carbonazione e non è questo il mio punto: le note vinose sono troppo sbilanciate su toni acetici che non facilitano la beva.
Il dilemma sembra risolto, per il momento. Per sicurezza, però, ne approfitto per fare anche qualche giro dai vini e dalle birre acide senza uva, non si sa mai!
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