Rosso di Macchia: che cosa vedi?

Una macchia: cosa vedi? Quello che vedi descrive parte di ciò che sei.

Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi

Nel 1994 la Cantina Dora Sarchese era già alla quinta vendemmia. Secondo il titolare e fondatore della azienda, Domenico Mimì D’Auria, era giunto il momento di pensare a un vino nuovo che riuscisse ad esprimere l’essenza del lavoro e del vitigno Montepulciano d’Abruzzo. Un vino capace di resistere nel tempo. Condivise questo progetto con l’enologo Carmine Festa e il Professore Leonardo Seghetti. Un anno dopo, durante un pranzo in cantina, il professor Seghetti fece cadere alcune gocce di questo nuovo vino sulla tovaglia bianca. Una macchia rosso violacea rimase indelebile sulla tovaglia. Una macchia nella quale, possiamo immaginare, ciascuno vide “qualcosa”: una scommessa, una promessa, una firma; qualcuno forse vide una parte di se stesso o la proiezione dei propri sogni. Per tutti fu il “Rosso di Macchia”.

Ventiquattro anni dopo siamo stati invitati a metterci alla prova anche noi con ben otto “macchie”, con otto sfumature di rosso dal rubino violaceo al granato. Una esperienza resa più intensa dal luogo, la stessa Cantina Dora Sarchese, e da due compagni di viaggio, il professor Seghetti e Nicola D’Auria, figlio di Mimì e attuale titolare della Cantina.

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La memoria

Una macchia rosso granato vivace, il profumo di una donna elegante in grado di indossare la bellezza senza volgarità, la freschezza che si mantiene inalterata negli anni e si esprime in uno sguardo, in un gesto lieve, in una parola moderata e profonda. La capacità di tenere le redini della vita anche quando il tempo si allunga e ci attraversa.  Rosso di Macchia 1996.

Una macchia rosso granato con una sfumatura arancio. La richiesta di andare oltre l’apparenza: – chiudi gli occhi, torna indietro, ci sono luoghi dove sei stato felice, ci sono luoghi pieni di promesse, conserva la loro energia –  Rosso di Macchia 1994.

Leonardo Seghetti, che ha gli occhi azzurri del cielo e il cuore di un “piccolo principe”, ricorda l’enologo Carmine Festa e Mimì D’Auria che non ci sono più, attraverso le sue parole la loro memoria diviene presenza.

Il piccolo principe assisteva allo schiudersi di un enorme bocciolo e sentiva che ne sarebbe venuta un’apparizione miracolosa, ma la corolla indugiava, e si faceva bella, chiusa nella sua camera verde. Con cura sceglieva i colori. Si vestiva piano, accomodando i petali a uno a uno. Non voleva uscire tutta stropicciata come fanno i papaveri. Voleva mostrarsi solo nel pieno fulgore della propria bellezza.

L’autenticità

Non si fanno sconti. Il clima, il tempo, la natura sono variabili solo in parte controllabili. La forza di un vignaiolo è imparare dal vino, dalla sua vita e dalla sua fine. Il Rosso di Macchia 2000 si è spento. Il Rosso di Macchia 1998 ci regala i suoi ultimi anni, è al termine del suo percorso e tra le note balsamiche ed eteree svela datteri e spezie esotiche come per invitarci all’avventura, ad esplorare posti diversi e lontani.

Nicola D’Auria e Leonardi Seghetti sorridono con affetto perché la fine di un vino dimostra che c’è stata una vita autentica.

Diventi responsabile per sempre di ciò che hai addomesticato.

L’attesa

Ascolti il suono sottile del vino che scende nel calice, lo osservi, lo avvicini al naso, lo assaggi. A volte le parole per descriverlo restano lì, sulla punta della lingua. C’è un profumo che ti ricorda qualcosa, ma non riesci a definirlo.

Agli adulti piacciono i numeri. Quando raccontate loro di un nuovo amico, non vi chiedono mai le cose importanti. Non vi dicono: «Com’è il suono della sua voce? Quali sono i suoi giochi preferiti? Fa collezione di farfalle?» Le loro domande sono: «Quanti anni ha? Quanti fratelli? Quanto pesa? Quanto guadagna suo padre?» Solo allora pensano di conoscerlo.

Da bambina collezionavo fiori. Li facevo seccare con cura. Sapevo attendere. Il profumo dei fiori secchi è particolare, conserva la dolcezza della primavera e il dolore sottile della perdita. Quando ritrovo in un vino questo profumo sono portata ad accettarlo senza riserve  e le “cose importanti” diventano quelle più leggere. Rosso di Macchia 2003 e Rosso di Macchia 2007.

Beata gioventù

Radice fresca di genziana. Liquirizia. Rosa rossa, violetta. Rosso di Macchia 2014.

Confetto alla mandorla, foglia di pomodoro, more selvatiche, le fate dei boschi. Rosso di Macchia 2010.

Quando si è giovani si è sempre belli. Si possiede leggerezza e solo un accenno lieve di indefinita malinconia. I giorni sono corridoi verso l’infinito. Poi, lungo quel corridoio, ci saranno molte porte. Questi vini sapranno dove andare e magari ci incontreremo di nuovo, non più vecchi ma più saggi.

 

Informazioni su La Fillossera - Innesti di vino e cultura ()
Graziana Troisi è l'autrice del blog e degli articoli. Alcuni articoli sono di Giovanni Carullo.

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