Malvasia di Bosa G. B. Columbu, la luce della Planargia

di Graziana Troisi

La densità dei vini ossidativi tradizionali

I vini ossidativi spesso, non sempre, non tutti, condividono una caratteristica: la densità, del liquido, dei profumi, del gusto. È la medesima densità delle parole nelle poesie. L’insostenibile leggerezza dell’essere, per dirla con Kundera. Si avverte la sensazione potente di essere nel tempo, una situazione paradossale se ci si riflette in quanto “nel tempo” siamo immersi sempre, ma questi vini svegliano la coscienza, contengono il passato, ovvero le radici, il momento presente, quindi il senso di appartenenza e la persistenza, cioè la memoria.

La Malvasia di Bosa

Un viaggio a Bosa si compie soltanto assaggiando la Malvasia di Bosa. Immergendosi nella sua densità dorata, nelle molteplici sfumature odorose dell’elicriso, delle mandorle, della resina e poi lasciandosi penetrare dal sorso intenso, lungo, gaudente. Una abluzione.

La Malvasia di Bosa di Columbu contiene molte storie. Storie di incontri. Negli 1957 l’insegnante barbaricino Giovanni Battista Columbu si reca a Bosa su invito di un amico, forse non immagina che la sua vita si legherà a questo luogo in modo indissolubile. A Bosa conosce Lina Pala che diventerà sua moglie e un parente di lei, Salvatore Deriu Mocci, detto Zegone per via della sua cecità. Salvatore Deriu è l’uomo della Malvasia di Bosa, ne conosce i segreti, ma soprattutto ne conosce il profondo valore.

La loro amicizia e la loro collaborazione è stata fondamentale per custodire un patrimonio di saperi tramandati soltanto in forma orale. All’epoca Columbu dirigeva il Centro di Cultura Popolare U.N.L.A. (Unione Nazionale Lotta Contro l’Analfabetismo) per l’Educazione degli Adulti, che si proponeva di combattere l’analfabetismo diffuso soprattutto nelle classi popolari e negli adulti che non avevano potuto completare le scuole elementari o le medie inferiori. È per l’appunto un progetto educativo a costituire la base per stilare il disciplinare della denominazione, il cui riconoscimento avverrà nel 1972. Il vino diventa un abbecedario: i contadini imparano a leggere e scrivere partendo da ciò che conoscono meglio, riappropriandosi della loro storia e attraverso una serie di interviste, oggi conservate dalla Cantina Columbu, trasmettono un patrimonio culturale specifico legato a una regione storico-geografica, la Planargia.

Identità e reciprocità sono concetti fondamentali per comprendere questo vino. Il vitigno è Malvasia di Sardegna ma la sua identità è specificatamente legata ad alcuni comuni della Planargia.

La Planargia è un vasto e fertile altopiano vulcanico che si estende dal Marghine fino al mare, fra i territori di Villanova a nord ed il Montiferru a sud, attraversato dalla valle del fiume Temo. Il nome deriva dall’andamento pianeggiante della sua conformazione geografica.

Questa regione si sviluppava interamente nella provincia di Nuoro, ma, dopo la nascita della nuove province della Sardegna, tutta la sua zona costiera è stata portata all’interno della provincia di Oristano.

La Sardegna, tuttavia, non si legge per province, ma per l’appunto per regioni storico-geografiche.

La reciprocità la si ritrova nel valore culturale di questo vino, offerta di ospitalità e liquido prezioso che da sempre ha scandito i momenti importanti della comunità, configurandosi come un “bene sociale”.

Il viaggio di Mario Soldati a Bosa

Nell’autunno del 1975 Mario Soldati compie il suo terzo viaggio in Italia “Alla ricerca dei vini genuini” e, su consiglio di Veronelli, fa tappa a Bosa. La trova “intatta… meravigliosamente e tranquillamente viva”. Ha una guida d’eccezione, Salvatore Deriu “uomo libero e orgoglioso” dotato di “un umorismo secco, breve, moderno: allegro e affilato come la sua risatina” e sospetta che il “Ciecone” finga la sua cecità “per astuta difesa della sua personale e affilata indipendenza”.

Soldati utilizza l’aggettivo “luminosa” per descrivere la Malvasia di Bosa nel suo complesso, quindi anche la fragranza e il gusto e ne proclama l’appartenenza a “una classe nettamente superiore” anche rispetto alla Vernaccia di Oristano. Nel suo “armonioso equilibrio tra l’alcol e il complesso degli enzimi” la Malvasia di Bosa ha una continuità espressiva dall’olfatto al gusto, nonostante un titolo alcolometrico che oscilla tra 16° e 18°, non si avverte quello che Soldati definisce il “terribile scalino (dell’alcol n.d.r.), sicura spia di un rinforzo artificioso, se non artificiale: di una violenza all’antica tradizione locale, se non di una contraffazione”.

Il nostro viaggio a Bosa

In questa Bosa tessuta di incontri, di scambi, anche noi abbiamo incontrato sorsi luminosi, nei quali abbia ritrovato il cielo terso, il maestrale, il bianco del calcare e il mare. È un mare di forme antiche quello sul suolo di Bosa: qui e, in particolare, nella Valli di Modolo, Magomadas e Tresnuraghes si trova una delle più grandi concentrazioni d’Europa di fossili giganti. Senza dimenticare che Bosa è l’unica città fluviale della Sardegna. Il fiume Temo divide il centro storico, dominato dal Castello di Serravalle e l’area delle concerie, le Sas Conzas, ora dismesse.

Noi siamo arrivati in una mattina di sole, intorno alle 11.30, in una Bosa quieta, silenziosa. Poco dopo è cominciato un racconto. Il racconto dei racconti.

“Malvasia di Sardegna il vitigno, Malvasia di Bosa il vino, la doc è del 1972” inizia così Vanna Mazzon che con passione e incredibile conoscenza ci ha permesso di scoprire una parte di Sardegna. Lei, che non è nata a Bosa, ha forse per questo uno sguardo più profondo, maturato negli anni, assorbendo la luce e i gesti di questa terra. Campeda e Fraus sono i “cru” della Cantina Columbu, sebbene non esista una vera e propria zonazione dei vigneti. Ci racconta di altri vitigni autocotoni, come l’Avarenzulu, che un tempo accompagnavano la Malvasia di Bosa nel suo invecchiamento e il Girò, che adesso si trova ancora nella zona di Cagliari e dal quale si ottiene un vino rosso dolce.

La Malvasia di Sardegna qui ha un grappolo più spargolo, fa rese basse (dai 25 ai 30 quintali per ettaro) ed è quindi sostanzialmente differente dalle altre Malvasie; frutto di una lunga selezione clonale. L’altro elemento fondamentale che marca questo vino è il calcare presente nei vigneti vocati e che incide sulla sua potente acidità. E, infine, il legno di castagno delle botti utilizzate per l’invecchiamento.

Nel 1992 esce sul mercato la prima bottiglia di Malvasia di Bosa G.B. Columbu Riserva e nel 2003 si accosta alla tradizione un altro prodotto, l’Alvarega, sempre ottenuto da uve malvasia. Questa é una variante dolce rispetto alla classica che interpreta l’usanza ormai consolidata di consumare la malvasia anche nella fase “giovanile”.

“Dietro alla coltivazione della vigna c’è la salvaguardia del passato, del terroir, dell’ambiente, di noi stessi”, dice Giovanni Battista Columbu a Jonathan Nossiter nel docufilm del 2005 Mondovino. Columbu è stato il vignaiolo custode e costruttore, poeta delle piccole cose, le sole che contano, una persona che ha esemplificato la coincidenza tra coltura e cultura, con un approccio politico, delicato, umano.

Oggi, dopo la sua scomparsa nel 2012, l’azienda mantiene la gestione familiare originaria, dove tutti i ruoli sono principalmente svolti da membri della famiglia Columbu.


Esiste una differenza sostanziale tra questo vino ossidativo e gli altri: qui il vitigno non è mai sopraffatto, sboccia come un fiore, il tempo lo nutre, l’ossigeno lo rende sgargiante, il legno lo accudisce. Dentro la Maschera dell’ossidazione, sotto il velo dei lieviti che a seconda dell’annata veste o meno il vino, ci sono gli occhi luminosi del vitigno. La degustazione è un rovesciamento e un disvelamento che si conclude nella catarsi, proprio come il Carnevale; anche Bosa ha il suo: il Karrasegare.

Alvaréga 2019

È la versione dolce della Malvasia di Bosa, che poi dolce non è. Più corretto definirla tendente al dolce, tale è l’acidità e la complessità organolettica del vino. Le uve sono raccolte in vendemmia tardiva, il residuo zuccherino è basso (sotto i 50g/l). Vanna Mazzon la chiama “la giovane”. L’aromaticità del vitigno si esprime pienamente con note di ginestra, camomilla, agrumi, paglia, canditi, creme brûlé e mandorle fresche. Il sorso è ampio, vibrante, fresco e sapido. L’allungo è notevole.

Malvasia di Bosa Riserva 2015

È la tradizionale Malvasia in stile ossidativo, lieviti indigeni e nessuna solforosa aggiunta (sarebbe del tutto superflua) lo sviluppo de La Flor è spontaneo e dipende dall’annata e… dal caso.

Crema di mandorle integrali, elicriso, scorza di arancio, erbe aromatiche, pepe bianco, resina di pino, mallo di noce sono soltanto alcuni dei riconoscimenti olfattivi. Il sorso è vibrante, avvolgente, lunghissimo nella persistenza aromatica, con finale netto. Un vino che non stanca, grazie al suo equilibrio dinamico.

La “vecchia” non può che diventare un vino del cuore, perché è la traduzione liquida di un terroir, contiene storie, ricordi, affetti e resta nella memoria, come soltanto i vini veri e vivi riescono a fare.

Informazioni su La Fillossera - Innesti di vino e cultura ()
Graziana Troisi è l'autrice del blog e degli articoli. Alcuni articoli sono di Giovanni Carullo.

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