Il Picolit, pochi acini per una lunga storia e un grande vino
I grappoli del Picolit sono piccoli e spargoli per un fenomeno detto acinellatura, aborto floreale, o aborto spontaneo. A causa di una mancata o parziale fecondazione del fiore, solo un esiguo numero di acini riesce a crescere e maturare: dai 15 ai 30 per grappolo invece di 150-200.

Antichissimo vitigno, secondo alcuni già coltivato ai tempi dei romani, il Picolit ha segnato la storia vinicola del Friuli, scomparendo spesso per poi riapparire con sempre maggior prestigio.
Nel Settecento il vino delizia il palato esigente di pontefici, cardinali, re e imperatori, grazie al progetto del conte Fabio Asquini. Sfruttando le relazioni commerciali di Venezia, il conte Asquini riesce a venderlo nelle principali città e corti europee fino a fare concorrenza al famoso Tokay ungherese.
Dopo la morte del conte Asquini e quasi due secoli di gloria, il Picolit, nell’Ottocento, scompare dalla scena, anche a causa della sua scarsa produzione e dell’avvento della fillossera, per poi riapparire nel Novecento.
La sua resurrezione moderna è legata al nome della famiglia Perusini, nobili proprietari della Rocca Bernarda nei dintorni di Rosazzo a sud-est di Udine, che nel 1935 recupera e mette a dimora il vitigno in quella che poi diventerà la sua zona d’elezione. Da allora Rocca Bernarda è il luogo simbolo del Picolit, oggi coltivato solo in poco più di 40 ettari della DOCG Colli Orientali del Friuli.
Per i friulani è il vino delle grande occasioni, delle ricorrenze particolari. Un vino inimitabile, antico, raro.
Una delle fonti per questo articolo è l’indispensabile Guida ai vitigni d’Italia, Slow Food Editore.
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