Riflessioni sul vino e sul Trebbiano d’Abruzzo
Degustando vino ho imparato che non esistono vitigni banali, solo produttori mediocri. Il vino non è un prodotto naturale ma è il frutto di un amplesso passionale tra uomo e natura, un figlio che nasce dal grembo di una donna ma non potrebbe esistere senza il seme di un uomo e, venuto al mondo, porta con sé qualcosa della donna e dell’uomo che lo hanno generato ma è insieme anche altro, un essere vivente che muta nel tempo, si evolve, si trasforma. Un figlio che, ad un certo punto, prende la sua strada e giunto nel momento della maturità sa raccontare la storia della sua famiglia, del luogo dal quale proviene e del tempo che è stato necessario a renderlo adulto.
Amo nel vino ciò che amo negli esseri umani: la personalità, l’autenticità, la non ambizione alla perfezione. Perché soltanto l’assenza di perfezione rende riconoscibili e unici.
Queste semplici riflessioni mi sono state ispirate per la prima volta dalla degustazione del Trebbiano d’Abruzzo di Francesco Paolo Valentini; in particolare da tre annate: la 1977, la 1983 e la 2008. La loro longevità, i riflessi dorati nel calice, la pervicace freschezza e la complessità olfattiva mi hanno illuminata sul potenziale di un vitigno tanto comune da essere spesso liquidato come vino da tavola (sebbene ritenga personalmente che ogni vino buono dovrebbe essere “da tavola” ma questo è un altro discorso). Il Trebbiano d’Abruzzo di Valentini è figlio della terra d’Abruzzo e della sua gente, racconta le stagioni e la tradizione e, insieme, la volontà di sperimentare e di trovare la strada per esprimere al meglio la propria identità.

Il mio incontro con Francesco Paolo Valentini, qualche anno fa…
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