Francesco Cirelli, il contadino romantico di Atri

Quando si parla di Francesco Cirelli sembra quasi obbligatorio premettere che è laureato alla Bocconi. “Il bocconiano che ha deciso di diventare contadino”. Come se laurea in economia e avvio di una attività agricola fossero un ossimoro o scegliere di imbracciare la zappa dopo la corona d’alloro segnasse una sorta di regressione, Della serie: “Ma tu con una laurea in economia ti metti a zappare la terra invece di entrare in banca?”
Su di noi questa scelta non fa molto effetto: siamo convinti che lavorare la terra richieda moltissime competenze e tanto cervello e la riteniamo una scelta intelligente, sostenibile e non certo un passo indietro nella scalata al successo personale. Potremmo anche spingerci oltre con una piccola provocazione. A nostro avviso l’estinzione della classe contadina è certamente legata a fattori storici ed economici ma in buona parte anche a fattori culturali. Quelli di noi che hanno intorno ai trentanni possono forse negare di aver subito una sorta di condizionamento negativo relativamente alla vita contadina? Il contadino con un basso livello di istruzione, destinato ad una vita di fatica con poche gratificazioni sia personali che economiche. In alcuni casi addirittura un fantasma fatto ondeggiare davanti agli studenti indolenti “Mettiti a studiare altrimenti ti mandiamo a zappare la terra” quando non utilizzato come offesa “Braccia rubate all’agricoltura” detto di persona non particolarmente dotata intellettualmente.
Così ci siamo messi a studiare e siamo diventati tutti economisti, sociologi, scienziati della comunicazione, psicologi… in un mondo che, forse, di tutti questi teorici non ne ha poi così bisogno. Ma, tralasciando la disoccupazione dietro l’angolo, siamo proprio sicuri che trascorrere dalle otto a dieci ore dietro una scrivania, davanti allo schermo di un computer, con il telefono attaccato all’orecchio, per raggiungere obiettivi etero-imposti, sia l’opzione migliore?! Per molti evidentemente lo è. Altri, perdono i capelli, divorano cioccolata, si alcolizzano il sabato sera e diventano capaci di uccidere per un parcheggio in centro. E poi magari si ritrovano a pagare per trascorrere un week end in vigna a vendemmiare o a coltivare orti sinergici in balcone.
Francesco Cirelli i capelli li ha persi lo stesso (non tutti, non ancora…) però ha il volto disteso e parla con modi pacati e sembra convinto della scelta fatta nel 2003 quando, dopo la laurea o nonostante la laurea (a seconda dei punti di vista) è tornato in Abruzzo per acquistare 22 ettari di terreno nel comune di Atri. Ha iniziato ad allevare le oche (perché erano le bestioline meno esigenti) poi ha impiantato fichi e bulbi di aglio. Nel 2008 i primi esperimenti con il vino, inizialmente con vinificazioni tradizionali. Nel 2011 ha deciso di provare ad utilizzare anche le anfore. La prima motivazione di questa scelta è stata la volontà di lavorare il mosto in presenza di ossigeno ma senza l’influenza del contenitore sulla materia prima, come avviene ad esempio quando si utilizzano botti e barrique. La seconda motivazione non la dice, non serve. Francesco Cirelli è un Romantico, come lo erano Novalis, Friedrich, Goethe e Schiller (ma non è ancora bravo come loro!).  Ad oggi produce circa 30.000 bottiglie di cui 12.000 vinificate in anfora.
Abbiamo degustato cinque vini, tutti in anfora: due annate di trebbiano, il cerasuolo e due annate di Montepulciano. L’evento, che possiamo definire conviviale nel senso più raffinato del termine, è stato organizzato dagli amici della Confraternita del Grappolo.
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Trebbiano d’Abruzzo 2013
Naso citrico con un accenno di smalto, floreale di tiarè, caprifoglio e camomilla, fruttato di pesca e melone. In bocca secco, caldo, con acidità e sapidità molto accentuate. Di media persistenza.
Trebbiano d’Abruzzo 2012
Dopo una apertura floreale si è richiamati subito dalle erbe aromatiche e dalla frutta matura, melone, albicocca, pesche gialle. Anche qui una grande freschezza con chiusura leggermente amara. Tra i due vince il 2012 dal punto di vista olfattivo, anche per una maggiore pulizia, il 2013 dal punto di vista gustativo.
Cerasuolo d’Abruzzo 2013
Impatto olfattivo intenso di confettura di frutta rossa e di fiori appassiti. Ingresso in bocca piacevole, di poca persistenza, con finale eccessivamente amaro.
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Montepulciano d’Abruzzo 2013
Al naso violetta, smalto, lavanda, pepe e liquirizia. Tannino aggressivo e spiccata acidità. Di media persistenza.
Montepulciano d’Abruzzo 2012
Una conferma per un vino già degustato e amato in precedenti occasioni. Naso duro, a lungo chiuso e silente; poi ricordi lievi di viola, mirtillo e liquirizia e qualche nota speziata. Esplode in bocca, dritto, intenso, giustamente tannico.
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Al termine della degustazione i miei calici erano vuoti (quelli nella foto sotto non sono i miei…) e ritengo che se uno i vini se li beve vuol dire che sono buoni. Tecnicamente non sono certo vini perfetti e non sono neanche affidabili, perché ogni bottiglia è diversa dall’altra, come tutti i prodotti artigianali. Fa piacere, però, avere in Abruzzo un giovane contadino romantico che, come il dottor Frankenstein ama la sua creatura anche quando gli si rivolta contro. E poi questo è forse uno di quei casi in cui una istruzione superiore si rivela utile, perché se è vero che la terra va lavorata, è altrettanto vero che va anche raccontata e questa capacità di tradurre in parole e testi il proprio lavoro è forse proprio quella che è mancata ai nostri cari contadini estinti (o quasi).
Questi vini sono un’esperienza da provare e riprovare di tanto in tanto, perché sicuramente, con gli anni, miglioreranno.
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Informazioni su La Fillossera - Innesti di vino e cultura ()
Graziana Troisi è l'autrice del blog e degli articoli. Alcuni articoli sono di Giovanni Carullo.

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