Versante nord e il respiro dell’Etna
La donna è mobile, si dice. Parafrasando il luogo comune io direi che l’intelletto è mobile. E per fortuna. Il mutare le opinioni, i comportamenti e finanche le nostre passioni non costituisce soltanto un antidoto alla noia ma, a volte, anche la via per salvarsi sperimentando nuove forme di esistenza.
Il mutare è connesso con la conoscenza e quindi con l’attività mentale o fisica. Il territorio, immaginato, narrato o visitato è un ottimo spazio per l’esercizio delle proprie facoltà. Chi desidera apprendere è portato ad esplorare. Nonostante viaggiare sia l’attività che più di tutte permetta, in tempi relativamente brevi, di sviluppare il proprio potenziale umano, esistono anche altri strumenti più economici per raggiungere lo stesso fine. Ad esempio leggere, conversare con persone brillanti o bere una bottiglia di vino. No, non è una provocazione. Una bottiglia di vino, spesso, è un mezzo per conoscere un luogo, scoprire una storia o semplicemente mettere alla prova i propri sensi. Non succede con ogni bottiglia, ma con alcune sì. L’ultima bottiglia che mi ha fatto questo effetto l’ho bevuta due sere fa. Alla cieca.
Le prime impressioni sono state positive e, sorso dopo sorso, ho cominciato a domandarmi di che vino si trattasse. Rosso rubino piuttosto scarico e trasparente con una consistenza media. Naso timido, piccoli frutti rossi, qualche nota vegetale e un accenno di pepe, preludio di una successiva speziatura. Grandissima eleganza, un corpo intenso e lieve allo stesso tempo. Mi ha fatto pensare ad un’uva allevata in un clima fresco con forte escursione termica, magari in altitudine. Ho immaginato un terreno di sassi e sabbia. Probabilmente se mi fossi affidata soltanto a queste poche supposizioni e al mio gusto avrei indovinato il vitigno, invece, non so per quale processo mentale, ho associato l’eleganza di quel vino al nord Italia. Però, nonostante qualche affinità, non era nebbiolo. Il tannino meno netto. Ho addirittura pensato a un pinot nero di Toscana. Ma ero decisamente dalla parte sbagliata dell’Italia. Dovevo scendere molto più a sud. Anzi in quel luogo mitico che non è sud ma Sicilia e ancora di più in quel microcosmo che è l’Etna.
Da straniero e ignorante quando arrivi in prossimità dell’Etna con gli scarponi da trekking, svariati litri di acqua e uno zaino attrezzato pensi di poter conoscere questo luogo con alcuni giorni di cammino. Ma basta avvicinarsi appena per percepire subito la vastità fisica e mitologica di questo luogo. Non un cratere ma tanti crateri, colate laviche di differenti periodi, strati su strati. Il grigio, il nero, il verde, il rosso e l’azzurro; molti i colori dal cielo alla terra ed anche sotto la terra. L’Etna la si cammina in superficie e nelle viscere, mentre ogni pietra respira, trema e sbuffa. L’Etna è una creatura che vive conservando nel cuore l’imprevedibilità e la potenza della natura. Chissà se queste suggestioni o altre motivazioni hanno spinto, nel 2011, il giovane enologo spagnolo Eduardo Torres Acosta a lasciare Tenerife per trasferirsi in Sicilia. Nel 2014 la prima annata di “Versante Nord” (almeno nel nome qualcosa del nord c’era). Nerello Mascalese da vigne vecchie per un ottanta per cento circa, la parte restante varietà autoctone. Fermentazione spontanea in vasche di cemento, macerazione di 15 gg sulle bucce senza controllo della temperatura e affinamento in botti di rovere di slavonia per 16 mesi.
William Blake scriveva che “grandi cose accadono quando gli uomini e la montagna si incontrano” e mi piace immaginare una scintilla di questa grandezza nel vino che ho amato una sera, seduta a tavola, nel luogo che chiamo casa e che rappresenta lo spazio sereno del fluire quotidiano, il gradino tra una partenza e un ritorno. Certe volte in un bicchiere di vino si trova più di quel che si cerca. Alle pendici dell’Etna ho avvertito la sensazione di compiutezza perché ho trovato la visione della complessità accessibile al cuore attraverso i sensi; ho avvertito il respiro del vulcano e l’allinearsi del mio tremore interno a quello della terra. Questa sensazione di compiutezza vitale il vino di Eduardo me l’ha ricordata e per questo mi è piaciuto, per questo gli auguro di riuscire a preservare nei suoi vini il respiro dell’Etna.
Rispondi