La carne: storia, caratteristiche e abbinamento con il vino
L’uomo è naturalmente onnivoro e la ricerca di cibo è stata una delle leve principali della sua evoluzione.
Ciò che ha distinto gli uomini dagli altri animali è stata la sua capacità non soltanto di procacciarsi il cibo ma di costruirsi delle fonti di approvvigionamento stabili nel tempo e nello spazio. L’agricoltura e l’allevamento hanno permesso alle prime comunità umane di instaurare insediamenti stabili e assetti societari basati su relazioni sociali ed economiche.
Uomo e carne: storia di un rapporto ancestrale
Quando l’uomo ha iniziato a cibarsi di carne? Probabilmente da sempre, cibandosi inizialmente di piccoli animali e anche di carogne o avanzi di altri animali, poi dotandosi di strumenti e utensili adatti e affinando le tecniche di caccia.

La scoperta del fuoco e la sua applicazione per la cottura della carne costituisce un primo, fondamentale, momento di cambiamento nelle modalità di consumo e anche di caccia.
“Il più grande uomo scimmia del Pleistocene” è un divertentissimo libro del giornalista Roy Lewis, che racconta in maniera ironica e scanzonata le vicende di un gruppo di ominidi dell’Africa centrale del tardo Pleistocene e le loro lotte per sopravvivere ed evolversi. La scoperta del fuoco e la cottura dei cibi è il primo scalino dell’evoluzione, perché consente loro di avere molto più tempo libero, prima trascorrevano ore ed ore a “masticare”… Un libro super consigliato che non parla di vino ma che vi intratterrà durante le vostre bevute. Lo trovate qui
Nel mondo greco e romano la carne era consumata soprattutto dai ceti elevati, mentre l’alimentazione di base della popolazione era costituita da cereali, verdure e pesce azzurro. L’allevamento, come l’itticoltura, erano diffusi e i romani svilupparono anche diverse tecniche di conservazione della carne, come l’essiccazione e la salatura.

Nel Medioevo furono soprattutto i monaci a dedicarsi all’allevamento e crebbe il consumo di carne bovina, sebbene venisse incentivato anche il consumo di pesce nei giorni di magro. La figura del macellaio si sviluppa in questo periodo con la nascita delle corporazioni, ma nasce ben prima dell’anno mille ed è storicamente assimilabile inizialmente alla persona, spesso un sacerdote, addetta all’uccisione degli animali offerti in sacrificio nei rituali religiosi che appartengono sostanzialmente a tutte le culture.

Con la conquista dell’America vengono introdotte nuove specie ed in particolare il tacchino diventa una delle carni immediatamente integrate nell’alimentazione ordinaria del “Vecchio Mondo”.
Con l’inizio del XIX secolo nascono i macelli pubblici. Grazie alle scoperte di Pasteur, Koch e molti altri, si pongono le basi per una corretta igiene e la sicurezza alimentare porta a un diretto miglioramento delle condizioni di vita. La macellazione industriale nasce negli Stati Uniti, in particolare a Chicago, da un lato grazie all’applicazione del sistema taylorista ai grandi mattatoi e dall’altro grazie allo sviluppo delle tecnologie per la refrigerazione e il trasporto delle carni in ambienti refrigerati.
La carne: una definizione
Si intendono le masse muscolari (tessuto muscolare striato) e i tessuti che vi aderiscono (grasso, connettivo, vasi sanguigni e linfatici, nervi) degli animali da macello, da cortile e della selvaggina.
Il muscolo si compone di fasci grossolani di fibre, ciascuno dei quali è avvolto da un involucro di tessuto connettivo: più le fibre sono brevi, più la carne è tenera e digeribile.
Il tessuto connettivo è composto da tre proteine: collagene, elastina e reticolina. Il collagene è la più comune ed è l’unica che si scioglie in acqua, formando la gelatina. Il tessuto connettivo non influenza direttamente il sapore ma incide sulla consistenza della carne, rendendola più tenace alla masticazione.
Il tessuto adiposo è formato da cellule in cui sono depositati in abbondanza grassi neutri (trigliceridi) e lipidi complessi. Dal punto di vista organolettico il grasso più interessante è quello di infiltrazione, distribuito tra le fibre muscolari e indice di qualità nella carne. Quando il grasso è ben visibile si parla di marezzatura. Le carni molto marezzate sono le più pregiate e anche le più saporite.

Il colore della carne
Solitamente si distingue tra carni bianche, rosse e nere. Sebbene dal punto di vista merceologico la classificazione convenzionale sia utile, spesso si rivela imprecisa, perché il colore è influenzato dall’età dell’animale e dal tipo di allevamento.
Ciò che determina il colore della carne è il contenuto di mioglobina, ovvero la proteina che trasporta l’ossigeno ai muscoli. Più i muscoli devono sopportare peso e fatica e più l’animale è in movimento, tanto più la carne avrà una colorazione scura. Per questo, ad esempio, le carni equine sono molto scure, perché più ricche di mioglobina, mentre le specie avicole hanno carni dal colore bianco.
A fini pratici possiamo semplificare come segue:
- Carni bianche: alcuni animali da cortile come pollo, tacchino e coniglio e quelle di esemplari giovani di agnello e capretto
- Carni rosate: suino e vitello (il bovino macellato entro i 4-6 mesi)
- Carni rosse: animali da macello adulti come manzo, bufalo, bue, equini, montone e alcuni volatili (anatra, oca, faraona)
- Carni nere: selvaggina
Allevamento, macellazione e Benessere animale
Per benessere si intende generalmente “la qualità della vita di un animale come viene percepita da un singolo animale”.
Le 5 libertà:
- libertà dalla fame, dalla sete e dalla cattiva nutrizione
- libertà di avere un ambiente fisico adeguato
- libertà dal dolore, dalle ferite, dalle malattie
- libertà di manifestare le proprie caratteristiche comportamentali specie-specifiche
- libertà dalla paura e dal disagio
Il benessere animale non è importante soltanto dal punto di vista etico perché condiziona in misura determinante le proprietà nutrizionali e le qualità organolettiche della carne. In primo luogo lo stress causa incidenti, ferimenti e infezioni che portano all’uso di antibiotici. In secondo luogo, stanchezza o paura improvvisa spingono l’animale a consumare glucosio. Il glucosio è uno zucchero prezioso per la produzione di acido lattico che consente alla carne di raggiungere il giusto livello di acidificazione o ph.
La Frollatura
La frollatura è un procedimento tecnico attraverso il quale la carne viene fatta maturare all’interno di ambienti con temperatura, umidità, ph ed altri parametri strettamente controllati, al fine di ammorbidirne le fibre e renderle più tenere. La frollatura rende anche la carne più saporita e gustosa. Dopo la macellazione subentra il rigor mortis e senza una opportuna frollatura la carne risulterebbe dura e poco saporita.

Tempi e modi della frollatura dipendono dalla tipologia dell’animale e da altri fattori legati alla razza, alla grandezza, al tipo di taglio e alla quantità di grasso.
Le tipologie di carne
Carni bovine
Sono molte le razze bovine tra autoctone e cosmopolite, con caratteristiche differenti a seconda della razza, della tipologia di alimentazione e delle tecniche di allevamento adottate.
Le razze autoctone italiane più comuni e di grande pregio sono la Chianina, il Bue Grasso Piemontese e la Marchigiana; mentre tre le razze cosmopolite più note e apprezzate troviamo le francesi Limousine e Charolaise, l’Angus (originariamente scozzese, oggi frutto di numerosi incroci), la svizzera Simmenthal, senza dimenticare le razze bovine giapponesi Wagyu.

Secondo la legge italiana i bovini si distinguono in vitello e bovino adulto. In base all’età i bovini vengono classificati in:
- vitello, bovino maschio o femmina di età inferiore a 8 mesi con un peso massimo di 185 kg
- vitellone, bovino maschio o femmina di età compresa tra 8 e 12 mesi
- scottona, bovino di sesso femminile, di età compresa tra i 15 e i 22 mesi che non ha mai figliato
- manzo, bovino maschio castrato fino all’età di 4 anni, oppure bovino femmina fino a 3 anni che non ha ancora partorito o gravida da meno di 6 mesi
- bue, bovino castrato di età superiore ai 4 anni
- vacca, bovino femmina cha abbia partorito almeno una volta
- toro, maschio di almeno 18 mesi destinato alla riproduzione
Dopo la macellazione le carcasse vengono divise in quarti e suddivise in tagli di prima, seconda e terza categoria.

Il quinto quarto alimentare è invece costituito dalle frattaglie che vengono distinte in:
- bianche: cervella, midollo, animelle, piedini, testina e trippa
- nere: fegato, cuore, lingua, rognoni
Le frattaglie sono dotate di aromaticità e particolari consistenze, spesso hanno notevole persistenza gustativa; in alcuni casi possono avere una leggera tendenza amarognola e se opportunamente lavorate e cucinate possono regalare piatti unici e stimolanti.
Carni suine
La tradizione popolare insegna che del maiale non si butta via niente. Di fatto questo animale è l’unico animale da macello utilizzato esclusivamente per la sua carne. Le razze suine si dividono in due grandi famiglie: suino pesante e suino leggero (o magrone).
La razza più diffusa e conosciuta è la Large White, originaria dell’Inghilterra e i cui caratteri sono stati fissati dopo una lunga serie di meticciamenti e selezioni nel 1860. Viene utilizzata anche per ottenere prosciutti e altri insaccati. Moltissime le razze autoctone presenti in Italia, sebbene il loro numero si sia molto ridotto.
Il maialino da latte è chiamato lattonzolo, mentre il suino, maschio o femmina, castrato ha delle carni di colore rosato-rosso, con una consistenza pastosa e grana molto fine. Il verro è il maschio da riproduzione, la scrofa è la femmina che ha partorito.
Filetto, carré (arista e braciole) sono parti magre e di pregio; lombata, cosciotto, collo e pancetta sono tagli più grassi e saporiti.
Carni avicole
Con questa denominazione vengono indicate le carni degli animali da cortile: polli, tacchini, faraone, conigli, piccioni, oche, anatre. Pollo e tacchino richiedono tempi di frollatura brevi, sono carni tenere e digeribili e vanno sempre consumate ben cotte. Negli ultimi anni il consumo di carne di coniglio è aumentato, grazie alle sue carni magre ma molto gustose. Le carni avicole rosse come l’oca, l’anatra o la faraona possono essere servite anche leggermente al sangue, ma vengono più spesso utilizzate per realizzare piatti di grande struttura e succulenza.
Carni ovo-caprine
Ovini e caprini vengono allevati soprattutto per la produzione di formaggi e per l’industria conciaria. Il consumo delle loro carni è relativamente basso, ma molto diffuso in alcune aree specifiche, in Italia soprattutto nelle zone centro-meridionali.

Generalmente vengono consumati i capi molto giovani, quindi abbacchio e capretto, tuttavia il castrato (ovino maschio castrato e ingrassato) la pecora e la capra entrano in ricette tipiche della tradizione di molte regioni, così come l’utilizzo delle frattaglie.
La selvaggina
La selvaggina comprende tutte le carni da animali cacciati, tuttavia sempre più spesso si fa ricorso in cucina alla selvaggina da allevamento. Si distingue in:
- selvaggina a piuma, come pernici, quaglie, tordi ecc.
- selvaggina a pelo, come cinghiali, camosci, cervi, daini, lepri ecc.
La caratteristiche principali di queste carni e, in particolare di quelle a pelo, sono la consistenza muscolare, il basso contenuto di grasso, la tendenza dolce e l’importante aromaticità. Richiedono da medie a lunghe frollature e spesso vengono marinate prime della cottura.
Principali tecniche di cottura
- carne cruda: carpaccio, tartare o battuta al coltello
- lessatura: si ottiene per immersione in acqua già bollente, solitamente con l’aggiunta di erbe aromatiche. Le carni restano succulente e il tessuto connettivo viene sciolto. Il lesso viene accompagnato generalmente da salse o emulsioni
- bollitura: la carne viene immersa in acqua fredda e portata lentamente a ebollizione per ottenere brodi saporiti
- brasatura e stufatura: dopo una rosolatura a fiamma vivace le carni vengono lasciate sobbollire lentamente con l’aggiunta di vino, brodo o fondi. Questo tipo di cottura va bene per tutte le tipologie di carne anche se alcuni tagli sono da prediligere
- frittura: questa tecnica va bene per tutte le tipologie di carni, prevede una panatura e l’immersione in un grasso ben caldo
- grigliatura: si prediligono tagli tendenzialmente grassi, il calore può arrivare in maniera più o meno forte e diretto a seconda del posizionamento della carne rispetto alla brace a all’utilizzo di griglie o spiedi
- arrosto: la tecnica di cottura al forno (calore indiretto) è una delle più tradizionali per molti tagli di carne o per animali interi, come nel caso del pollo, del tacchino o del coniglio. Per evitare che la carne asciughi troppo si utilizzano bagne a base di vino o brodo, in alternativa le carni molto magre vengono lardellate prima di essere messe in forno.
- cottura sottovuoto a bassa temperatura: chiamata anche CBT o cottura Sous-vide, prevede che gli alimenti siano inseriti all’interno di appositi sacchetti di plastica, messi poi sottovuoto (da qui “Sous-vide”, che in francese significa sottovuoto) ed immersi in acqua calda. La temperatura resta sempre bassa, generalmente intorno ai 55°, e i tempi di cottura si allungano molto. Con questa tecnica la carne conserva tutte le sue proprietà nutrizionali ed organolettiche, non si asciuga durante la cottura e risulta tenera e saporita.
La cottura a bassa temperatura sottovuoto si può realizzare facilmente anche a casa, grazia a uno strumento semplice da usare e non molto costoso: il Roner che, immerso nell’acqua di cottura, grazie a un termostato interno, regola e mantiene la bassa temperatura desiderata. Uno dei migliori con ottimo rapporto qualità-prezzo lo trovate qui
La reazione di Maillard
La reazione di Maillard (dal nome del medico che per primo la scoprì) è la reazione che avviene tra gli amminoacidi delle proteine e gli zuccheri riducenti ad una temperatura compresa tra i 140° e i 180°.
La reazione di Maillard è responsabile del colorito scuro che assume la carne e influenza il gusto e il sapore.
Le carni bovine contengono un quantitativo di zuccheri riducenti sufficienti affinché avvenga la reazione; in altri casi possiamo aggiungere gli zuccheri con delle marinature a base di vino o agrumi, oppure con delle glassature a base di miele, ad esempio.
La carne e l’abbinamento con il vino
Considerazioni generali
Le caratteristiche organolettiche delle carni e delle preparazioni che ne prevedono l’utilizzo sono fortemente influenzate dalla razza e dall’età dell’animale, dal metodo di allevamento, dalle tecniche di cottura e dall’utilizzo di fondi, salse ed emulsioni, oltre alla presenza di eventuali contorni.
In linea generale le caratteristiche principali di cui tener conto per realizzare un corretto abbinamento con il vino saranno:
- succulenza intrinseca, presente nelle cotture al sangue o nelle preparazioni brasate o stufate per la presenza di fondi o salse
- aromaticità: alcune carni, come l’agnello, il capretto o la selvaggina hanno una aromaticità tipica e spiccata. A seconda delle tecniche di cottura, l’aromaticità può essere apportata da erbe aromatiche o dall’aggiunta di salse (come la salsa barbecue) o tartufo
- tendenza dolce: tutte le carni hanno una discreta tendenza dolce, accentuata nelle carni bianche, come il pollo, il tacchino o il cappone, nelle carni equine e nelle carni di struzzo. In una preparazione la tendenza dolce viene accentuata dall’aggiunta di pasta, riso, polenta o patate o da contorni a base di ortaggi dolci come la zucca
- grassezza: sebbene non sia propriamente una sensazione saporifera, la grassezza, quando presente, conferisce una particolare consistenza alla carne e la arricchisce di sapore (sia in termini di tendenza dolce che di sapidità) e persistenza aromatica
- sapidità: generalmente le principali tecniche di cotture prevedono l’utilizzo di fondi e/o salse che concentrano o esaltano la sapidità della carne
- struttura e persistenza: queste caratteristiche variano molto in base al tipo di carne e soprattutto in base alla ricetta; possiamo considerare di bassa struttura e persistenza un petto di pollo alla griglia e di grande struttura e persistenza un brasato al barolo
L’abbinamento è la ricerca non soltanto dell’equilibrio tra i sapori e le sensazioni tattili di un piatto e le caratteristiche organolettiche di un vino, ma anche e, soprattutto, di una percezione gusto-olfattiva nuova che rappresenti la sintesi e la valorizzazione dell’uno e dell’altro.
Se vuoi approfondire la tecnica dell’abbinamento cibo-vino leggi il nostro articolo
Vino bianco, rosato o rosso?
Sulla base delle considerazioni generali che abbiamo esposto appare evidente che, a seconda del piatto, possiamo abbinare vini bianchi, rosati e rossi e, spesso, anche spumanti.
L’abbinamento territoriale
Chiamare in soccorso la tradizione, quando non abbiamo particolare dimestichezza con una ricetta o con una tipologia di carne, può essere un’ottima scelta. Nell’Italia centrale e meridionale molti piatti tradizionali sono a base di carne di agnello, pecora e capretto, carni che hanno una loro particolare aromaticità e le cui caratteristiche variano molto in base all’età dell’animale e alla ricetta. La pecora alla callara o alla cottura, ad esempio, è una ricetta tipica dell’Abruzzo. In questo piatto l’animale utilizzato è tradizionalmente adulto (in origine l’animale “vecchio” o ferito, non più utile per il latte o la riproduzione), la carne pertanto viene bollita e poi cotta a lungo in un brodo aromatico che, in alcune varianti prevede anche l’aggiunta di passata di pomodoro. Il risultato è un piatto strutturato, dall’importante persistenza aromatica, ricco in grassezza e sapidità che presenta anche succulenza intrinseca se servito con il suo sugo. Il vino rosso abruzzese per eccellenza, ovvero il Montepulciano d’Abruzzo, nella versione Riserva, rappresenta l’abbinamento ideale con questo piatto.
Lo stracotto d’asino tipico della bassa pianura Padana è uno stufato sapido e dal sapore pieno e deciso, dalla discreta tendenza dolce, che si sposa bene con un Gutturnio Riserva (barbera e croatina) proprio di queste zone.
E come non pensare al Lambrusco che con la media struttura e la vivace effervescenza si rivela il fedele compagno della grassezza gelatinosa e a tendenza dolce del cotechino?
L’ordine di servizio dei vini in un menù a base di carne
Nel corso di un pranzo o di una cena è bene calibrare il servizio dei vini in ordine crescente di struttura e complessità. Immaginando un menù base carne possiamo ipotizzare il servizio di tre vini:
- antipasto: tartare in abbinamento a uno Champagne blanc de blancs o un metodo classico base Chardonnay
- primo piatto: pappardella al ragù bianco di coniglio e zafferano con un bianco di buona struttura, morbido e sapido, anche con una maturazione in legno o una breve macerazione sulle bucce
- secondo piatto: filetto di maiale alle mele in abbinamento a un rosso di corpo, con un tannino maturo e integrato, di media persistenza come un Rosso di Montalcino
La cucina “etnica”
Etnica è un termine generico e impreciso, utilizzato in questo contesto per fare riferimento ad una cucina particolarmente speziata, spesso piccante, in alcuni casi agrodolce o ricca di quel sapore sapido definito “umami“.
Le carni cucinate in questo modo hanno caratteristiche organolettiche che possono complicare l’abbinamento con il vino. In generale saranno i vini aromatici, morbidi e di buona persistenza a risultare indicati in abbinamento. Per alcuni piatti, soprattutto se piccanti, anche un residuo zuccherino nel vino può favorire l’abbinamento. Un pollo al curry trova il suo complemento in un Gewürztraminer; con un tajine marocchino di agnello o montone potremmo sfruttare la generosità di un Nero d’Avola; mentre con un Anatra alla pechinese dovremmo cercare un vino particolarmente sapido ma anche dal tenero alcolico abbastanza elevato.
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