Metanolo: lo scandalo che cambiò per sempre la storia del vino italiano

Sono trascorsi molti anni dallo scandalo del Vino al Metanolo e, alcuni, soprattutto i più giovani, non lo ricordano più o non ne conoscono i dettagli. Era il mese di marzo del 1986 e quella tragedia segnò una svolta per il mondo del vino e per la società italiana.

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1986 – Carabinieri in un supermercato controllano che le bottiglie di vino non siano di provenienza delle aziende vinicole sotto inchiesta

 

19 persone decedute, 153 intossicate, alcune con danni neurologici permanenti, e 15 persone rimaste non vedenti, “cieche assolute” come recitavano i certificati dell’epoca.

I primi morti vengono etichettati dalla stampa come alcolisti, ma presto i casi aumentano così come il numero dei ricoveri per intossicazione. Non si tratta di alcolizzati ma di uomini e donne comuni che hanno acquistato del vino economico al supermercato e ne hanno bevuto uno o due bicchieri durante i pasti o per festeggiare un compleanno.

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Quel vino proviene dalla ditta Ciravegna di Narzole, paesino in pianura della provincia di Cuneo. Per aumentare il grado alcolico totale del vino, il titolare Giovanni Ciravegna, con la complicità del figlio, ha aggiunto metanolo. Il metanolo, in piccolissime quantità, è un prodotto secondario della fermentazione alcolica, ma una dose eccessiva può essere fatale.

Nel 1984 una legge aveva detassato il metanolo rendendolo più economico dello zucchero (il cui utilizzo era comunque vietato in Italia dal 1965) e dell’alcol. Il vino adulterato era stato poi messo in commercio dalla ditta Vincenzo Odorè di Incisa Scapaccino (Asti) come Barbera del Piemonte. Le successive indagini rivelarono il coinvolgimento di altri soggetti, e portarono all’emissione di ordini di cattura anche nei confronti dell’autotrasportatore Giuseppe Franzoni, di Bagnolo San Vito (Mantova), di Roberto Piancastelli di Riolo (Ravenna), con precedenti per sofisticazione e di Antonio Fusco di Manduria (Taranto), commerciante internazionale di vino.

Ciravegna è il personaggio più noto, nel 1986 nelle Langhe aveva una azienda che fatturava un miliardo e mezzo di lire l’anno e, nonostante lui si sia proclamato sempre innocente, è stato ritenuto essere la “mente” di questa frode.

Alla fine sono state undici le condanne: Giovanni Ciravegna della provincia di Cuneo, ha scontato 10 anni di reclusione per accuse quali associazione per delinquere, omicidio volontario plurimo, lesioni gravi, adulterazione di sostanze alimentari. Coloro che attuarono la sofisticazione – grossisti, imprenditori, trafficanti di alcol metilico, titolari e gestori di cantine – sapevano benissimo che il vino al metanolo era un veleno.

Purtroppo per le vittime non c’è mai stato nessun risarcimento, perché tutti i colpevoli si sono dichiarati nullatenenti.

Enzo Binotto ha raccontato negli anni più volte la sua storia. Faceva il tornitore, lo chiamavano “occhi di gatto” perché il suo era un lavoro di precisione e lui aveva una vista perfetta. Il 3 marzo durante una cena di famiglia, bevve un paio di bicchieri di vino acquistato dalla cognata all’Esselunga. Racconta che la moglie aprendo il vino disse “ma che odore c’ha sto vino qua?!” Fortunatamente, lei, non lo bevve. Enzo invece si e cominciò da subito a sentirsi poco bene. Il giorno successivo, andando a lavoro, si fermò lungo la strada per pulire i vetri della macchina perché gli sembravano appannati. L’ultima immagine che ricorda è quella dell’orologio nella sua officina: le ore 9.15 del mattino. Da quel momento in poi divenne cieco per sempre. Aveva 39 anni, una figlia di quattro anni e una di 14.

Lo scandalo del metanolo rappresentò uno spartiacque per il settore del vino italiano. I consumi pro-capite scesero drasticamente e l’attenzione di operatori e consumatori si concentrò sul tema della sicurezza alimentare. Proprio la maggiore sensibilizzazione dell’opinione pubblica favorì la diffusione capillare su tutto il territorio italiano dei NAS (Nucleo anti-sofisticazione) dei Carabinieri. Non solo, nel tempo scese la produzione di vini da tavola e aumentò la produzione di quelli a qualità controllata (DOC e IGT).

Superato il periodo di crisi, ci si rese conto che lo scandalo poteva essere un’occasione per tanti viticoltori che lavoravano con onestà e professionalità.

Puntando su qualità, innovazione e valorizzazione del territorio, invece che segnare la fine del vino italiano, lo scandalo del metanolo rappresentò per certi versi un rinascimento.

Dopo i primi anni di inevitabile riduzione delle esportazioni, a partire degli anni ’90 ci fu una crescita continua delle vendite all’estero (+575% in 30 anni) che generò un volume di affari superiore al doppio di quello del 1986.

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Vi consiglio il servizio di approfondimento che trovate qui con le interviste a Enzo e sopratutto a Giovanni Ciravegna.

 

Informazioni su La Fillossera - Innesti di vino e cultura ()
Graziana Troisi è l'autrice del blog e degli articoli. Alcuni articoli sono di Giovanni Carullo.

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