Sulla stabilità del vino: le parole di Mario Soldati

Dirò subito che mi considero anch’io, del vino, un amatore inesperto. È vero, i “viaggi d’assaggio” mi hanno istruito un pochino: ma il loro risultato più apprezzabile è stato di misurare, dopo anni di esperienze enologiche, quanto sia vasta ancora la mia ignoranza, e l’arte del vino quanto difficile. Per esempio. Uno degli errori più gravi e più comuni in cui oggi incorrono molti consumatori di vino è di credere che un certo vino, riconoscibile al nome e all’etichetta, debba essere sempre uguale a se stesso, e sempre buono se una volta è stato trovato buono: di chiedere, dunque, al commerciante un vino che risponda a requisiti di “continuità”…. enorme equivoco: si pensa, scioccamente, al vino nominato e desiderato come a un’entità omogenea, intercambiabile, fissa: come se si trattasse di una data marca di aranciata, di birra, di whisky, o addirittura di automobile o frigorifero. Mentre il vino (il vino di una data qualità, zona di produzione circoscritta, annata, partita, botte e, in certi casi, bottiglia) può paragonarsi soltanto a un essere umano e vivente, immisurabile, inanalizzabile se non entro certi limiti, variabile per un’infinità di motivi, effimero, ineffabile, misterioso. Esigere un vino “stabile” è la più grande sciocchezza che un bevitore di vino possa commettere.

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Graziana Troisi è l'autrice del blog e degli articoli. Alcuni articoli sono di Giovanni Carullo.

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