Al Folies Bergère con Manet, Suzon e lo champagne
Édouard Manet non ebbe una vita facile. Sin da giovanissimo manifestò l’attitudine e la passione per la pittura, ma fu osteggiato dal padre che per lui desiderava tutta un’altra carriera. Quando alla finè potè seguire il suo talento non fu apprezzato dalla società del tempo. Per fortuna ebbe alcuni grandi amici (amici del calibro di Baudelaire, Zola e Mallarmé) che, sicuramente, gli resero la vita meno angusta.
Fu un pittore realista, ma dei realisti detestava un certo manierismo e una stereotipizzazione del tratto. Fu precursore dell’Impressionismo, ma con il gruppo degli impressionisti non arrivò mai a identificarsi totalmente. Ammirava, infatti, i maestri antichi, prediligeva i ritratti umani ai paesaggi e amava utilizzare il colore nero (bandito dagli impressionisti).
Un quadro su tutti è emblematico degli aspetti contraddittori e della grande originalità del pittore: Il bar delle Folies Bergère, l’ultimo quadro realizzato prima della morte.
Ci sono quattro elementi essenziali nel dipinto:
- il luogo: il bar delle Folies Bergère di Parigi
- Suzon, la cameriera
- lo specchio alle spalle di Suzon
- le molte bottiglie presenti sul bancone
Il bar delle Folies Bergère, elegante, frequentato dalla borghesia parigina è riflesso nello specchio alle spalle del grande bancone in marmo. I tratti sfumati e il gioco di luci sembrano riprodurre le voci degli avventori; si sta tenendo uno spettacolo, in alto a sinistra si intravedono le gambe di un trapezista. L’attenzione dell’osservatore si concentra, però, sulla cameriera Suzon. Il corpo dalla forme generose è stretto in un corpetto nero dalla scollatura profonda, sottolineata dal pizzo e da un mazzetto di fiori tra i seni. Un abito simile a quello indossato dalle clienti, ma alcuni elementi rendono Suzon molto diversa dalle signore benestanti che stanno godendo dello spettacolo. Le gote rosse e la pettinatura semplice fanno pensare a una ragazza venuta dalla campagna. Le mani appoggiate sul bancone tradiscono una familiarità all’ambiente e al lavoro. Ma sono soprattutto il volto e lo sguardo di Suzon a raccontarci la sua storia. Suzon è triste, stanca, di una stanchezza profonda, invincibile. I suoi occhi guardano davanti a se ma non vedono lo spettacolo e neppure il cliente che ha difronte e che, probabilmente, gli sta chiedendo da bere. Forse Suzon sognava una vita diversa, forse il lavoro che si è trovata a svolgere non lo ha scelto. In lei c’è più rassegnazione che speranza. La sua alienazione viene resa attraverso lo specchio. L’immagine riflessa, impossibile secondo la prospettiva, è una donna diversa, un’altra Suzon: è la cameriera che prende le ordinazioni, serve i clienti, sorride ai complimenti indesiderati, mentre il suo cuore, spento, resta in disparte.
Sul bancone ci sono molte bottiglie: champagne, vino, alcune bottiglie di birra, un liquore. Una fruttiera di cristallo è ricolma di arance, mentre un calice contiene due fiori freschi. Frutti e fiori freschi e dai colori vivaci che ricordano un mondo semplice, puro e che forse Suzon ricorda con nostalgia.
Sulla etichetta della prima bottiglia a sinistra Monet appone la sua firma.
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