Omar Khayyâm il “poeta del vino”
Omar Khayyam, scienziato persiano, autore di un “Trattato di Algebra” per lo studio delle equazioni, è conosciuto nel mondo occidentale soprattutto per le sue poesie. Nel 1859 circa 100 sue quartine (Rubaiyât) furono tradotte in inglese da Edward Fitzgerald nel 1859 che, malgrado la loro scarsa fedeltà al testo originario, diedero al suo autore molta popolarità.
Per quanto abbia saputo con logica e compasso
Definir vero e falso, descriver alto e basso,
vi assicuro che solo nell’intendermi
di vino tutti gli altri filosofi sorpasso
Le Quartine costituiscono una summa del suo pensiero. Nella sua poesia è centrale il tema del vino, simbolo di gioia ed ebrezza ma, soprattutto, strumento di godimento immediato. Grazie al vino, alla musica e all’amore l’uomo può vivere pienamente il presente, la sola dimensione nella quale la vita ha un senso. Nell’invito a godere dei piaceri della vita si cela anche un pessimismo di fondo: la consapevolezza che l’uomo è nulla al cospetto di Dio e dell’Universo. Egli non può prevedere il futuro e l’ora della sua morte, ma solo vivere intensamente il tempo che gli è concesso. Carpe Diem.
Chi siamo noi, vuoi sapere? Marionette!
Bei burattini con cui Dio si spassa
E gioca e scherza, e poi via via ci mette,
poveri e ricchi, dentro la stessa cassa.
Dalla taverna, all’alba, esce un richiamo
per il viandante: “Avanti, avanti, avanti!
La clessidra si svuota, accorri o gramo!
Riempi il bicchiere di vino, l’aria di canti”
Ed il vino è anche un piacere semplice, quotidiano, democratico perché tutti possono goderne.
Oh un libro di canzoni, oh una coppa di vino,
oh una pagnotta di pane, e te, amor mio, vicino
a me, a cantare nella solitudine
Bere vino è anche un atto di ribellione all’insensatezza dell’azione di Dio. Occorre riempire la propria coppa senza curarsi degli ipocriti:
Se non bevi vino, non rimproverare chi si ubriaca.
E non cominciare a intrecciare astuzie e inganni.
Non essere poi così fiero di non bere il vino, ché di certo
cento bocconi ingoi di cui il vino è umile servo.
Il vino è un canto di gioia e amore e consente al poeta di sconfiggere il pessimismo attraverso l’ironia
Mi dice la gente: “Gli ubriachi andranno all’inferno!
Ma son parole queste prive di senso pel cuore:
se dunque andranno all’inferno i bevitori e gli amanti,
vedrai il Paradiso domani nudo come palmo di mano!
Io nulla so, non so se chi m’ha creato
m’ha fatto per il Cielo o m’ha destinato all’Inferno.
Ma una coppa e una bella fanciulla e un liuto sul lembo d’un prato,
per me son monete sonanti: a te la cambiale del Cielo!
Sulla sua morte un aneddoto racconta che una sera stava meditando su un libro: improvvisamente lo chiuse, poi chiese carta e calamaio per scrivere testamento; quindi si addormentò ai piedi di un muricciolo dove sorgevano degli alberi fioriti, e dal sonno scivolò dolcemente al sonno della morte. Per la sua tomba venne costruito un mausoleo circondato da uno splendido giardino, capolavoro dell’architettura persiana, e ancor oggi meta di pellegrinaggi.
ʿUmar Khayyām è citato da Francesco Guccini nella celebre canzone Via Paolo Fabbri 43 nella frase “Jorge Luis Borges mi ha promesso l’altra notte / di parlar personalmente col persiano” e poco dopo (per chiarirne meglio l’identità) nella frase “forse avrò un posto da usciere o da scrivano / dovrò lucidare i suoi specchi, / trascriver quartine a Kayyām”.
Fabrizio De André utilizzò come finale della canzone La collina (dall’album Non al denaro, non all’amore né al cielo) la frase tratta da una quartina di ʿUmar Khayyām: “Pien di stupore son io pei venditori di vino, ché quelli / che cosa mai posson comprare migliore di quel ch’han venduto?” – modificata in “sembra di sentirlo ancora / dire al mercante di liquore / tu che lo vendi cosa ti compri di migliore?”.
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