Barbaresco Montestefano, Rivella
Le rose tenute in ammollo nell’acqua da bambina per trarne elisir immaginari, il viso immerso nella terra dopo una caduta, gli abiti bagnati da un temporale improvviso. Il sangue fresco delle ginocchia sbucciate. Una bellezza scalfita dal dolore, intellettuale, che emerge per la sua resistenza alla omologazione. Profondo, potente, a tratti spigoloso. E rimane, rimane, come la verità sacra e feroce delle notti solitarie.
“Tu che abiti a Torino… ”
mi ha detto
“…ma hai ragione. La vita va vissuta
lontano dal paese: si profitta e si gode
e poi, quando si torna, come me a quarant’anni,
si trova tutto nuovo. Le Langhe non si perdono”.
Tutto questo mi ha detto e non parla italiano,
ma adopera lento il dialetto, che, come le pietre
di questo stesso colle, è scabro tanto
che vent’anni di idiomi e di oceani diversi
non gliel’hanno scalfito. E cammina per l’erta
con lo sguardo raccolto che ho visto, bambino,
usare ai contadini un poco stanchi.
Estratto da I mari del Sud – Cesare Pavese
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